Calendario CSP: 21 dicembre 2024
Con questa casella il CST ci presenta l’ultimo racconto di questo calendario. Ambientato nel Varant precisamente a Bakaresh, dopo una tranquilla serata di chiacchiere e lontani ricordi, il giorno successivo quello che sembravano per l’appunto lontani ricordi di storie passate ritornano e si presentano alle porte della città più importante per gli Assassini!
“Il cimelio di famiglia”
Raschid alzò lo sguardo dalla scrivania. In piedi sulla porta del negozio, sotto la spada del bisnonno, c’era un uomo in un semplice caftano, i capelli leggermente unti sotto il fez per il sudore di una lunga giornata. Mettendo da parte la piuma di saprofago del deserto, si affrettò dietro il bancone. Suo figlio avrebbe dovuto essere lì, a servire i clienti. Ma, per ora, avrebbe dovuto fare a meno di Machmud.
“Saluti, saluti, figlio di viaggi lontani! Cosa posso fare per te?” “Qualcosa per rafforzarmi, padre dell’ospitalità. Sono appena arrivato nella madre di tutte le città. Il viaggio è stato arduo.”
“Ti credo, è già molto tardi.” Fuori, era già calata l’oscurità. La lampada a olio sulla scrivania di Raschid proiettava una luce tremolante nel negozio, facendo apparire i mobili e le figure dei due uomini come ombre grottescamente distorte e danzanti sulle pareti. Non aspettava più clienti e aveva pensato di potersi dedicare all’inventario in pace.
Mentre serviva all’ospite ciò che restava di riso, lenticchie e vitello e gli portava una ciotola di datteri, l’uomo si mise a suo agio.
“Il nostro capo carovana ha fatto una deviazione. Ma dovrebbe essere di buon auspicio per me raggiungere la più sacra delle città sotto il velo rinfrescante di Beliar e non sotto la bruciante maledizione della luce di Innos.” “Vieni dal nord?” Il dialetto tradì il suo ospite.
“Da Braga. Ho fatto un lungo viaggio. E pericoloso. Abbiamo fatto una deviazione per evitare i predoni, non viaggiando direttamente da Ben Sala ma avventurandoci prima nel deserto.”
“Potrebbe non essere stato necessario. Di solito Orbasan prende di mira le carovane commerciali, non i gruppi di pellegrini.”
“No, no, non Orbasan. Ne ho sentito parlare, un pericoloso bandito, lo chiamano il Signore del Deserto a Ben Hasha. Ma il nostro capo carovana ha detto la stessa cosa che hai detto tu.”
Il pellegrino spezzò un pezzo di pane azzimo che Raschid aveva ora posato sul tavolo e lo usò per raccogliere un po’ di riso e lenticchie. Il suo sguardo si posò sulla spada appesa al muro sopra la porta.
“Nomadi. I nomadi stanno causando problemi lungo il percorso.”
Raschid strizzò gli occhi e corrugò la fronte. “I nomadi non oserebbero avvicinarsi così tanto a Bakaresh. Una volta superato il sentiero da Lago a Ben Sala, non hai più nulla da temere da loro. Sono solo alcuni predoni. Emarginati dai loro stessi clan. Spinti dal loro odio per Beliar e i suoi servi. Fuggono nel profondo del deserto non appena gli Assassini di Bakaresh si avvicinano. Perfino gli schiavisti li temono e li evitano.”
Ma il suo ospite scosse la testa. “No, non sono solo alcuni predoni. È un intero clan di nomadi! Decine di guerrieri. I Beni Sinikar, li chiamava il nostro capo carovana. Sono in guerra!”
“Lo ha detto per spaventarti e farti pagare più oro per la deviazione. Sii cauto, figlio dell’ingenuità; a Bakaresh, ci sono molti che predano i pellegrini ignari.”
I nomadi erano stati nuovamente braccati dal ritorno di Zuben e gli Assassini avevano scacciato i loro occupanti Myrtaniani. Negli ultimi anni, erano stati costretti a inoltrarsi sempre più nel profondo del deserto. E tuttavia, non avevano reagito. E come avrebbero potuto? Erano pochi e male armati, i loro maghi dell’acqua non erano mai tornati dal nord. Non avrebbero osato avvicinarsi a Lago, figuriamoci alla potente Bakaresh.
Il pellegrino continuò a fissare la spada mentre mangiava. La curiosità gli sciolse presto la lingua:
“Non ho mai visto un’arma come quella prima, padre delle meraviglie”.
Il petto di Raschid si gonfiò immediatamente e le sue labbra si allargarono in un sorriso. La lama del suo bisnonno era il suo orgoglio e la sua gioia. Tutti a Bakaresh conoscevano sicuramente il suo cimelio. Era proprio per questo che gli piaceva ospitare pellegrini, mercanti e altri viaggiatori: non si stancava mai di raccontarne la storia.
“Quella è una spada del Nordmar”, sussurrò.
“Per Beliar! Un’arma barbarica?” Ora lo straniero guardava l’artefatto con doppio interesse.
Raschid annuì orgoglioso. “Un’arma forgiata con minerale magico! Nemmeno a Ben Sala troverai artigiani abili come quelli delle montagne di Nordmar. Lo vedi?” Indicò lo scudo rotondo sul muro.
“Anche quello scudo proviene dagli uomini di quelle terre. Pensa alla neve che ricopre le vette invernali di Ben Hasha: nel Nordmar, ricopre l’intera terra, tutto l’anno”.
“Ci sei mai stato, padre di viaggi lontani?”
“No, ma il mio bisnonno sì. Il suo nome era Fadlan. Era un uomo colto e viaggiava molto. Combatté al fianco dei Nordmariani, i guerrieri più forti e coraggiosi del mondo”.
“Con chi hanno combattuto?”
“Oh, contro un grande male”. Raschid abbassò la voce. “C’era un clan tra i Nordmariani che adorava i vili djinn. Predoni, peggiori di qualsiasi nomade. Costruivano navi e facevano scorrerie molto, molto a sud dalla loro costa. Anche qui a Bakaresh, arrivarono e la saccheggiarono.”
“Per Beliar! La città santa!”
“Questo è stato prima che il Califfo iniziasse a predicare la fede. Al tempo del vecchio, debole Sultano. Arrivarono come un vento del deserto, calando sulla città, uccidendo molti uomini, rubando oro e donne, e scomparendo di nuovo con la stessa rapidità con cui erano arrivati. Questi uomini erano dei predoni così vili che si attirarono l’ira del loro stesso popolo. Ma alla fine, furono sconfitti, dal mio bisnonno e dai suoi compagni”.
“Una lama di minerale…”, mormorò l’ospite. “Questa spada deve valere una fortuna!”
Raschid rise. “Oh sì, scommetto che non ce n’è un altra uguale in tutta Varant. Aschnu, il mercante più ricco della città, ha offerto una fortuna per la mia spada. Anche il tempio ha mostrato interesse. La mia modesta attività è diventata prospera da quando la città ha iniziato a vedere più pellegrini e il commercio è rifiorito. Mi aspetto che tra qualche anno il porto venga finalmente ricostruito. Sicuramente, le navi dalle Isole del Sud torneranno. Non mi separerò dal mio cimelio tanto presto!”
Raschid si sentì un po’ stanco la mattina dopo mentre si dirigeva verso la vecchia porta della città. La conversazione con il suo ospite aveva ritardato il suo lavoro di inventario, quindi era andato a letto più tardi del previsto. Tuttavia, si era alzato all’alba e si era vestito.
A Varant era saggio fare commissioni al mattino o alla sera. L’occhio onniveggente di Innos non si era ancora alzato in alto e una brezza fresca soffiava ancora dal mare su Bakaresh, accompagnata dal suono gentile e monotono delle onde. Ma non era solo il caldo incombente di mezzogiorno a spingerlo, era anche il pensiero dei suoi clienti. Aveva bisogno di aprire il negozio al più presto. Gli sarebbe piaciuto aprirlo subito, ma non poteva essere in due posti contemporaneamente. L’assenza di Machmud si faceva sentire ogni giorno. Si consolava con la speranza che suo figlio, ora unito agli Assassini e di stanza a Ishtar, gli avrebbe presto mandato dei soldi. Forse allora Raschid avrebbe potuto permettersi uno schiavo che lo aiutasse a gestire il negozio.
Qualcosa sembrava diverso quella mattina. Le strade sembravano più affollate. È vero, a Bakaresh, la città del grande tempio, c’era sempre un’attività frenetica al mattino: mercanti di Mora Sul, pellegrini da ogni parte del paese, gente del posto e adepti del tempio si accalcavano tutti al mercato di buon mattino. Ma oggi, il chiacchiericcio era più frenetico, i volti segnati dalla confusione o dalla preoccupazione. A ogni angolo che girava, a ogni nuovo gruppo di persone agitate che incontrava, Raschid sentiva la sua tensione aumentare. Inconsciamente, accelerò il passo.
Mentre passava davanti alla Torre del Trono e si avvicinava all’uscita della città, si fermò di colpo: davanti a lui, una folla caotica di persone si spingeva e urlava l’una sull’altra. La guardia cittadina e persino la guardia del tempio stavano trattenendo la folla con le loro lance, cercando di ristabilire l’ordine.
Presto Raschid si ritrovò intrappolato in mezzo alla folla. Frammenti di parole gli giunsero alle orecchie senza avere molto senso. La gente lo urtò. Una vecchia donna stringeva tra le braccia un pollo che svolazzava e gracchiava, perdendo piume nella sua lotta per scappare.
“Cosa ci fai qui in città?” esclamò sorpreso.
“Raschid, per Beliar!” Burak lo afferrò per le braccia e lo scosse.
“I nomadi! I nomadi!”
“Non capisco…”
“Hanno attaccato l’oasi!”
“I predoni hanno osato avvicinarsi all’oasi?” “Non solo alcuni predoni! I Beni Sinikar! L’intero clan! Sono arrivati dal deserto prima dell’alba. E c’erano guerrieri del nord con loro. E un mago! Avevano un mago con loro! Un mago dell’acqua! Hanno preso l’oasi. Guerra, guerra: i nomadi sono in guerra con noi!”
Ci volle un momento a Raschid per comprendere appieno cosa Burak stesse dicendo, per comprendere il significato delle sue parole. L’oasi fertile, la linfa vitale di Bakaresh, da cui dipendevano la città e persino i suoi affari. I nomadi avevano colpito con un colpo solo, prendendo di mira la città dove era più vulnerabile. E all’improvviso, Raschid non fu più così sicuro di non doversi rimangiare le parole pronunciate la sera prima.
Autore: Jünger des Xardas
Traduzione italiana a cura di Luis “CardinaleRosso” Pendin.