Stiamo arrivando al termine del calendario 2020. Il CST stavolta ci mostra un racconto breve ambientato nel nuovo porto di Vengard, che ci era stato presentato nell’ultima casella dello scorso calendario.
IL PORTO DI VENGARD
di Gregox
Il sole splendeva attraverso la finestra e gli fece sbattere le palpebre. Prima di rendersene conto, era già del tutto sveglio, si posizionò seduto con le sue vecchie ossa e diede un’occhiata intorno a sé. La sua capanna nel molo era piuttosto piccola. Un letto doppio, un forziere robusto e un armadio. Ma era sempre meglio di quel che aveva altra gente, perché per lo meno aveva un tetto sopra la testa. E non era da sottovalutare di quei tempi.
I suoi occhi vagarono verso l’altro lato del letto che era vuoto. Da quando era così, gli era rimasta una sola speranza nella vita: morire di una morte indolore e riunirsi con sua moglie.
Sospirò, scese dal letto e indosso i vestiti. Il suo coltello e del denaro in una borsa penzolavano dalla sua cintura.
Uscì di casa e si diresse verso la bancarella sul lato opposto della strada per le compere quotidiane.
“Eccoti, Ruprecht”, gli sorrise una giovane donna.
“Saluti, Lena”, si limitò ad annuire mestamente.
Lei sospirò: “Sarebbe una giornata così bella, se solo …”
Ruprecht ringhiò: “Lascia perdere. Non abbiamo più il permesso di lasciare la città. Ci sarà di enorme aiuto quando arriveranno gli Orchi e conquisteranno la città…”
Lena lo fissò turbata. “Non dire cose simili. I Paladini e le guardie si occuperanno di tutto.”
Ruprecht rise fragorosamente mentre comprava il solito: il suo amato formaggio, un pezzo di pane e dell’acqua. Le diede qualche moneta e disse: “I Paladini? Le guardie? Quei tizi sono diventati così grassi grazie a tutto il denaro di cui si sono impossessati. Rimarranno solo quelli che hanno ancora un po’ di dignità, ma moriranno rapidamente.”
Lena si voltò a sinistra e a destra, prima di sussurragli spaventata: “Ti prego, smettila di parlare così. Qualcuno potrebbe sentirti e denunciarti alle autorità. Allora finiresti in prigione per tradimento e poco dopo verresti impiccato.”
Ma Ruprecht non abbassò il tono di voce dicendo: “Bah, ho già vissuto la mia vita e solo perché il re sta diventando paranoico e diffonde false speranze…”
Lena lo guardò con astio e lo interruppe: “Basta così! Forse non avrai molta considerazione della tua vita, ma io ci tengo alla mia, quindi vai da un’altra parte se vuoi parlare in questo modo.”
Ruprecht respinse le sue preoccupazioni, scosse la testa e prese le sue provviste quotidiane prima di incamminarsi verso il molo. Lì vicino appoggiò le merci acquistate, tirò fuori la sua canna da pesca e iniziò il suo lavoro giornaliero di pescatore.
Dopo un po’ di tempo, mentre il sole cominciava a tramontare, udì una voce familiare:
“Ehi…”, disse Lena. “Hrmpf”, borbottò Ruprecht.
“Ascolta” continuò la donna, sedendosi accanto a lui, “mi dispiace molto per la mia reazione, ma devi essere decisamente più prudente.”
“Ti stai ripetendo”, replicò il pescatore.
“So che sei ancora in lutto per la tua moglie deceduta, ma non puoi gettare via così facilmente la tua vita!”, sorrise. “Chi altri farebbe compere nella mia bancarella così regolarmente?”
“Non hai idea del perché sono in lutto!” ringhiò Ruprecht. Fissava ancora il mare e non diede neanche un’occhiata alla giovane con i capelli castani, che era come una figlia, da quando aveva iniziato ad occuparsi di lui.
“Allora per cosa sei in lutto?”, gli chiese Lena un po’ confusa.
“Per tutto. Sai che un tempo ero un fabbro? No? Beh, come potresti. Ora le mie braccia sono più magre di quelle di un lattante. All’inizio mio figlio, il mio unico figlio, avrebbe dovuto ereditare l’attività della famiglia. Ma poi giunsero loro….” “Chi?” “Gli uomini del re.”, rispose beffardo. “Vennero a confiscare la fucina e tutte le armi con cui potevamo permetterci il pane quotidiano. Mi ero già ritirato e la fucina apparteneva a mio figlio.”
“E? Cosa accadde dopo?”
“Mio figlio fu costretto a lavorare per quei bastardi come uno schiavo. Ogni giorno doveva consegnare tutto alle truppe ad un prezzo ridicolo. Non poteva vendere niente. La giustificazione era che ‘le spade sono materiale strategico per la guerra e il regno’. Bah, mi viene da ridere. Metà di loro non è neanche capace di maneggiare bene una spada.”
“Cosa successe poi?”
“Ad un certo punto Gunther ne ebbe abbastanza e protestò…. E lo spedirono nell’esercito, al fronte, dove morì.”
Lena rimase silenziosa, ma Ruprecht continuò subito: “Siccome dipendevamo da lui, poco tempo dopo non potevamo più pagare le tasse sulla nostra casa. E allora fummo mandati nel porto perché avevamo portato al mondo un ‘traditore’. Non molto tempo dopo mia moglie si ammalò e conosci già il resto della storia”, disse quasi senza emozione. Sembrava proprio che si fosse arreso al suo destino e che stesse solo aspettando il giorno della sua morte.
“Ed ora vivo in questa topaia, piena di ladri e canaglie che vanno o alla taverna per bere e sfidarsi o al bordello per privare del sonno tutti i vicini. Ancora peggio sono i mendicanti che diffondono le malattie o chiedono denaro che non possiedi…. Tutto per questa maledetta guerra. Contro quei maledetti Orchi. All’inizio erano un pericolo distante, ora sono fuori dalla città tentando di farci morire di fame. Non possiamo più uscire perché dobbiamo attendere i grandi eroi da Khorinis. Hrmph”, sbuffò.
“Mi dispiace moltissimo. Non…”
“Sapevi? Certo che no. Ciò nonostante dovevi per forza fare la so tutto io?”
Entrambi rimasero seduti per un po’, mentre la forte brezza gli gettava in faccia un po’ di acqua di mare.
“Vattene, non voglio più vederti oggi”, dichiarò Ruprecht con voce ferma. Lena aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi evitò, si alzò tristemente e se ne andò.
Il giorno finì così rapidamente come era cominciato, almeno questa era l’impressione di Ruprecht. E altrettanto velocemente tornò a casa, dopo aver già cenato. Si tolse i vestiti e andò a letto sperando di svegliarsi in un mondo migliore. Niente più Orchi, niente più guerre. Magari un re giusto, che non imprigiona chi non può pagare la tasse?
D’altro canto, non gli importava più di tanto. Dopo la morte di sua moglie, si era rassegnato come pure molti dei cittadini di Vengard. Il re poteva parlare quanto voleva di speranza e della nave all’orizzonte che porta la salvezza. Era solo propaganda per non far sentire la gente insicura.
Questi pensieri lo tennero sveglio per un po’ di tempo finché le sue palpebre non si chiusero lentamente e fu trasportato nel mondo dei sogni.
Un forte schianto! Ruprecht balzò giù dal letto. Poteva sentire urla e colpi che provocano scosse. Sembrava una seconda inondazione da parte di Adanos, come veniva descritta dai sacerdoti.
Ruprecht si vestì e corse fuori, ma fu subito buttato per terra. La gente lo calpestava e lui riusciva a sentire solo il cozzare delle spade. Qualche momento dopo la folla era sparita, ma ne stava giungendo altra. Pochi secondi prima che lo raggiungessero, venne tirato su in piedi. Si toccò la testa dolente e sentì del sangue scorrere dalla fronte. Guardò l’uomo che l’aveva salvato e vide che era una guardia.
“CORRI ALLE BARCHE, VECCHIO! VELOCE!” urlò a Ruprecht.
“Cosa sta succedendo?!” La voce di Ruprecht era un po’ tremante mentre presagiva cosa stava accadendo.
“Gli Orchi! Hanno fatto irruzione! E sembra che una nave da battaglia degli Orchi si stia avvicinando al porto. La tua unica speranza è nelle barche ormeggiate al molo. Forza, SBRIGATI!” gridò la guardia un’ultima volta prima di estrarre la spada e tornare a combattere al grido “PER IL RE!”.
Ruprecht iniziò a correre per quanto le sue fragili ossa gli permettevano. Diede un’occhiata rapida alla bancarella di Lena che era già stata distrutta. Poi guardò anche altri edifici mentre correva verso le barche: la taverna, il bordello, le altre capanne… la maggior parte stava già bruciando o era parecchio danneggiata. Dall’interno della città saliva del fumo e dappertutto echeggiava il suono della battaglia.
Ecco laggiù le barche, pensò Ruprecht. Ma poi si rese conto che la maggior parte era già partita. Riusciva a vederne solo una, con Lena a bordo. Non ci mise molto a riconoscerlo. “CORRI! SONO DIETRO DI TE!”, gli urlò. Ruprecht corse il più veloce possibile. Sentiva già l’ascia di un Orco sfiorarlo alle spalle e mancarlo di pochissimo. E quella successiva, ancora più vicina. Era quasi arrivato, ancora poco …
“NO!!” urlò Lena, mentre la barca partiva. Ruprecht si era fermato e percepiva solo l’ascia di un Orco nella sua schiena prima di crollare. Ruprecht rantolava sul suolo, gli Orchi emisero i loro spaventosi gridi che anche Lena udì. Ma per entrambi diventarono sempre più deboli: per lei, man mano che la barca prendeva distanza e per lui, ormai spezzato a terra.
Ruprecht avvertiva il sangue sgorgare dalla bocca e soprattutto dalla sua schiena. Allora era questa la fine? Tutto distrutto dagli Orchi, tutti gli uomini scacciati o uccisi… Beliar aveva vinto. Il mondo sarebbe morto nell’oscurità e il male avrebbe trionfato.
Un’ultima occhiata al mare, dove aveva trascorso metà della sua vita. Almeno rimaneva quello….
Ma laggiù, una nave all’orizzonte, che riconobbe con il suo ultimo respiro.
Ruprecht si spense con un sorriso, perché sapeva che quella nave avrebbe portato la speranza. La speranza che egli aveva perso da tempo. La speranza della fine della guerra e di tutte le sofferenze.
Sarebbe andato tutto bene.
Traduzione italiana a cura di Marco ‘Colmar’ Colombo.
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