Nella casella 13 il CST ci regala un altro racconto, con protagonista un nuovo personaggio, di nome Plissken, senza rivelarci, tuttavia, che ruolo avrà nel CSP o dove avremo l’occasione di incontrarlo.
L’oscurità aveva ricoperto le dune del Varant come una cupa tenda. L’area al di fuori delle città era illuminata solo dai pochi falò accesi nei campi delle carovane e delle tribù nomadi. In un’oasi remota tra le rovine coperte dalla sabbia, c’era un uomo in procinto di riottenere la sua libertà.
Plissken si appoggiò al palo di una tenda nel campo del suo nuovo padrone. Attorno a lui, gli altri schiavi stavano dormendo su semplici stuoie. Nessuno di loro aveva idea che uno di loro stesse per fuggire. Lentamente e con cautela Plissken tagliò le corde che lo imprigionavano, usando un coccio affilato che aveva trovato. Il suo unico occhio stava guardando l’entrata. Mentre tutti gli altri prigionieri avevano finito per accettare la propria condizione ed erano caduti in un sonno agitato, egli aveva perlustrato la sabbia fino a sentire con la mano proprio quel coccio. Quando il ruvido cuoio delle corde finalmente cedette, l’uomo si alzò e si stiracchiò. Era stato in quella posizione scomoda per troppo tempo.
Quando la barriera era caduta, aveva giurato di non diventare mai più un prigioniero. Ma il destino non era mai stato gentile e aveva giocato sporco con lui. Prima l’aveva condotto nella colonia, poi l’aveva derubato di un occhio, tramite le mani di una delle Guardie di Gomez. Alla fine erano stati gli orchi a catturarlo, subito dopo la caduta della Barriera, e l’avevano venduto ai loro alleati, gli Hashishin del Varant. Ma quei tempi erano finiti. Avrebbe preferito morire che essere catturato di nuovo, rifletté. Mettendo un piede davanti all’altro con attenzione, Plissken si fece lentamente strada verso l’uscita.
Poteva già sentire l’ululato del vento nel deserto. Apparentemente doveva essere troppo fragoroso, perché all’improvviso uno degli altri prigionieri si svegliò. Interrompendo i suoi movimenti per un momento, Plissken cercò di dire all’altro prigioniero: “Non fare nulla di stupido!” Non ebbe successo e lo schiavo iniziò ad urlare: “Allarme! Il nuovo arrivato con la benda sull’occhio sta tentando di scappare!” Plissken aveva sempre temuto che potesse succedere qualcosa del genere. Gli schiavi erano stati completamente spezzati dagli Hashishin, erano diventati servi sottomessi dei loro nuovi padroni.
Non ci volle che un attimo perché una sentinella entrasse come una furia nella tenda con la sciabola estratta. Probabilmente era di guardia vicino all’ingresso. Plissken si abbassò e gettò della sabbia negli occhi del suo aggressore. Non gli importava nulla dell’onore. Chi combatteva lealmente aveva già perso. Senza perdere altro tempo, colpì entrambe le orecchie dell’avversario con le mani piatte, rendendolo cieco e sordo temporaneamente, per renderlo innocuo. Ma chiunque avesse vissuto nella colonia si assicurava sempre del risultato, perciò Plissken lo colpì tra le spalle con il pomolo della sua spada, stordendolo e spedendolo nel mondo dei sogni.
Senza sprecare altro tempo Plissken uscì di corsa dalla tenda e scattò in direzione di un muro in rovina, che era proprio a pochi passi dalla sua tenda. Fermandosi dietro al muro, il prigioniero evaso aspettò l’arrivo di altre guardie da nord. Dovevano essere appena tornate da un giro di pattuglia. Impugnando la sciabola nella mano destra, l’uomo con un occhio solo prese, con la sinistra, una torcia appesa sul muro e la lanciò verso i suoi nemici. Plissken non intendeva colpirli così, ma sfruttare quel loro attimo di distrazione. Con un colpo rapidissimo, tagliò la gola della guardia a destra, e prima che il compagno potesse reagire, lo colpì con la sciabola tra le sue spalle, facendolo inciampare. In un secondo, Plissken afferrò la testa della guardia e gli colpì il volto con il suo ginocchio. Dallo sgradevole rumore che percepì, l’ex bandito capì di aver rotto il naso dell’avversario. Ma la guardia era un osso duro. Con il volto contorto dal dolore, riuscì a colpire Plissken con l’impugnatura della propria sciabola. Un sapore metallico riempì la bocca del veterano. Sputando sangue, tirò un calcio tra le gambe del nemico, facendolo urlare di dolore e cadere per terra. Con un’ultima gomitata, Plissken si assicurò che la guardia non avrebbe creato problemi, neppure nelle ore successive.
Plissken ringraziò il vento per il fragore del suo ululato. Se non fosse stato per quello, i rumori di lotta avrebbero probabilmente già allertato tutte le altre guardie. Tuttavia, doveva sbrigarsi. Si voltò verso la tenda per l’ultima volta e, rivolgendosi agli schiavi che lo avevano tradito, sibilò “Pregate di non incontrarmi mai più!”
Poi scomparve in direzione sud, verso la costa, nell’oscuro deserto. Aveva gettato via la sciabola, visto che il suo peso l’avrebbe solo rallentato nella fuga. Plissken avrebbe corso fin dove i suoi piedi lo avessero portato. Non doveva mai più essere catturarlo, non dagli orchi e certamente non da altri esseri umani!
Traduzione italiana di Colmar.
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