Con il 23 dicembre dal CST arriva un’altro racconto, la storia di Myrtana si arricchisce sempre più di particolari interessanti!
“Dimmi, Selim, manca ancora molto per Bakaresh?”
“No, mia signora. Abbiamo già passato le rovine. Abbiamo fatto più di metà del tragitto.”
Meltem sospirò. Mise le sue dita delicate nella ciotola che teneva sulle gambe, portandosi un altro pezzo di lokum alla bocca. Presto quelle dita avrebbero nutrito Aschnu con il lokum.
Ma no, per queste cose ha le sue schiave. Queste dita non farebbero altro che graffiargli il volto, se solo osasse pensare che io lo serva.
Socchiuse gli occhi, anche se fino ad allora non aveva visto altro che le tende della sua portantina, e si focalizzò sulle rocce delicate, sulla tenera canzone di Jamila e sul gusto di rosa che le permeava la bocca.
“Hai tutto ciò che il tuo cuore potrebbe desiderare”, le aveva detto suo padre, “e come moglie di Aschnu avrai anche di più.”
Tuttavia, il suo cuore non desiderava le prelibatezze nelle ciotole che la circondavano.Non desiderava il lokum, i fichi, i datteri, le mandorle tostate o i melograni. Né tantomeno desiderava i gioielli preziosi che le adornavano il collo esile, né gli smeraldi e gli zaffiri incastonati negli orecchini d’oro e d’argento che le pendevano dalle orecchie. Non desiderava nemmeno la seta che avvolgeva e accarezzava la sua tenera pelle.
Se c’era una cosa che desiderava, era la libertà.
Beh, forse anche qualcosa di più. A cosa servivano tutti i gioielli del mondo se, proprio come Jamila, era tenuta in una gabbia dorata, lontana da tutti? Mi vedrà Aschnu. Ma Aschnu era vecchio. Inoltre, era grasso e noioso, interessato solo ai propri affari, o almeno così aveva sentito. Preferirei essere la moglie di Selim. Lui sì che è un bell’uomo, anche se è solo un povero carovaniere.
Anche se Aschnu fosse stato bello come un principe delle fiabe, non avrebbe comunque voluto essere sua moglie, il suo uccellino in una gabbia dorata. Non voleva essere come Jamila, seduta dietro le sbarre, a intrattenere con la sua canzone e il suo piumaggio variopinto.
“Selim?”, chiese, “il resto del viaggio sarà pericoloso?” Avrebbe preferito non raggiungere Bakaresh. Tuttavia, non voleva nemmeno essere divorata dagli scavasabbia.
“Ha i suoi pericoli, mia signora”, rispose il carovaniere facendosi udire fra i drappi della portantina. Tuttavia, sembrava gioviale come sempre, spensierato, forse pure un pochino divertito. Forse era proprio questa gioia di vivere che le aveva fatto preferire Selim Baruch a tutti gli altri uomini che suo padre aveva assoldato per scortarla da Mora Sul a Bakaresh, facendo di lui il suo confidente per tutta la prima metà del viaggio.
“Anche altri sciacalli?” Le rovine ne erano piene. Avevano già incrociato un grosso branco. Meltem aveva sbirciato fra le tende quando gli uomini avevano iniziato a urlare e la sua portantina si era fermata di colpo. I predatori però si erano allontanati velocemente quando gli uomini avevano iniziato a bersagliarli di frecce, non osando attaccare una carovana così numerosa.
“Mmm”, iniziò a dire Selim Baruch, “Mettiamola così… ci sono meno animali selvatici. Tuttavia, attraverseremo il territorio di un altro tipo di sciacalli.”
“Stai parlando dei predoni, vero?” Il cuore di Meltem iniziò a battere un po’ più forte a quel pensiero. “È vero ciò che dicono del Signore del Deserto?”
Da fuori riecheggiò la risata gioiosa di Selim. “Non è forse Zuben il Signore del Deserto?” “Il Califfo è il Signore delle Città. Ho però sentito dire che un altro signore controlla il deserto. Un predone temuto anche dai nomadi.”
“Parli di Orbasan.”
“Allora è vero!”, disse con un filo di voce, afferrando con forza uno dei suoi eleganti cuscini finemente ricamati. Dovette combattere l’impulso di mettere la testa fuori dalle tende.
“Non penso che dobbiate temere il predone Orbasan, mia signora.”
“Viaggi spesso nel deserto, no?”
“Passo più tempo fra le dune che nelle città, mia signora.”
“E non hai mai incontrato Orbasan nei tuoi viaggi?”
Le risate di Selim Baruch arrivarono alle sue orecchie. “No, mia signora, non posso certo dire di averlo fatto, ma molti che conosco lo hanno conosciuto.”
Meltem rimase in silenzio. Infilò di nuovo la mano nella ciotola, più per far qualcosa che per una vera voglia di cibo. A dir la verità, iniziava a detestare quei cibi dolciastri. Se continuo a mangiare così tanto, sarò grassa come un ogre prima di arrivare a Bakaresh. Ah, forse a quel punto Aschnu non mi vorrà nemmeno più. Tuttavia, smise presto di pensare al suo promesso sposo. Non perché non volesse pensare a lui, d’altronde non aveva fatto altro che pensare a lui e al suo futuro per tutto il viaggio, pur controvoglia. Pensieri e sentimenti non conoscono la parola “no”.
Più non vuoi pensare a qualcosa, più non fai altro che pensare proprio a ciò che stai cercando di ignorare con tutte le tue forze. L’unica possibilità per non pensare a qualcosa è che si presenti qualcos’altro a cui pensare, qualcosa che catturi l’attenzione solo e unicamente su di sé. Proprio ciò che aveva fatto il predone Orbasan.
Orbasan.
Un brivido le scese lungo la schiena. Aveva già sentito di tanto in tanto delle storie sul Signore del Deserto, che tendeva delle imboscate con i suoi predoni alle carovane lungo la strada fra Bakaresh e Ben Erai, nel Ben Hasha. Non ci aveva prestato grande attenzione, al tempo. Erano solo delle chiacchiere dei soci in affari di suo padre, sempre intenti a piangere le proprie perdite. Non poteva importargliene di meno allora. Il Ben Hasha era molto, molto lontano da Mora Sul. Ciononostante, non era più a Mora Sul. All’improvviso, il nome di Orbasan aveva un suono differente. Misterioso e pericoloso. E se avrebbe davvero teso un’imboscata alla carovana? Tremò dalla paura.
“Selim?”
“Sì, mia signora?”
In qualche modo, la voce del carovaniere la tranquillizzò. Era strano viaggiare in quella portantina. Certo, era confortevole e la faceva sentire la figlia di un sultano. Allo stesso modo, però, le tende la davano la sensazione di essere tagliata fuori dal mondo, proprio come le mura di cinta del palazzo di suo padre. Era quasi come se fosse tutta sola, con l’unica compagnia di Jamila. Il mondo dietro le tende era così distante e inimmaginabile, proprio come il regno dei defunti. Udire la voce di Selim Baruch la rassicurava di non essere da sola, che c’era qualcosa al di fuori e che tutto era a posto. Anche così, la paura non era comunque sparita, tanto che la portò a chiedere: “Cosa ti fa essere così certo che Orbasan non ci tenderà un’imboscata? Sai bene quali ricchezze questa carovana stia trasportando. Se conoscessero la richezza della mia dote, ci attaccherebbero di sicuro. Perciò, come mai sei così sicuro che non succederà?”
“Non sono sicuro.”
“Ma hai detto che non ho nulla da temere.”
“Di quello sì, ne sono sicuro.”
Come faceva la sua voce ad essere così calma, perfino felice! “Ma non ci uccideranno tutti?”
La risata di Selim risuonò ancora una volta. “Perdonami mia signora, prima non avrei dovuto chiamare i predoni sciacalli. Questi sciacalli sono diversi dagli altri. Non si nutrono di carne umana, ma solo d’oro. Se non si oppone resistenza, di certo non uccideranno nessuno.”
“Ma…”, disse Meltem mordendosi le labbra, prima di continuare, “Possono farci comunque del male. Ci sono altre cose che dei predoni possono fare alle loro vittime. Specialmente a una donna…”
Per la prima volta il tono di voce di Selim Baruch si fece serio: “Ho sentito storie su Orbesan e le donne. Ce ne sono diverse, non lo nego. Tuttavia, non ho mai sentito che nel suo letto ci fosse una sua schiava o prigioniera, diversamente da quanto succede nell’harem di Zuben.”
La mente di Meltem era troppo concentrata sul Signore del Deserto per tener davvero conto dell’affronto all’altro Signore del Deserto, per quanto grave fosse.
“Ma ho sentito delle storie su questo Orbasan…”
“Storie su come abbia fatto del male a una donna?”
“No, niente del genere, ma…” Meltem cercò fra i ricordi ogni frammento di conversazione che aveva origliato. “Ho sentito che ha teso un’imboscata a una grande carovana di schiavi qualche mese fa, liberandoli tutti nel deserto. Ha mandato sul lastrico il mercante! Ha perfino dovuto vendersi come schiavo per ripagare i suoi molti debiti.”
“Orbasan non sembra così crudele nei confronti degli schiavi, se riesci a ricordare solo storie del genere, mia signora.”
“Ma il mercante!”
“Avrebbe dovuto imparare un mestiere onesto invece di fare lo schiavista, così avrebbe evitato di fare quella fine.”
“Pare che Orbasan abbia anche fatto a pezzi cinque Hashishin vicino a Lago”, ricordò lei.
Selim Baruch però rispose: “Questo tipo di storie finiscono con l’essere ingigantite mano a mano che vengono raccontate. Io avevo sentito che ne avesse uccisi solo due, limitandosi a prendere oro e armi agli altri tre prima di lasciarli andare.”
“Perciò ha comunque ucciso due Hashishin!”, esclamò Meltem.
“Certo, gli stavano dando la caccia.”
“Perché è un predone!”
“È qualcosa che ha in comune con il legittimo Signore del Deserto, quindi.”
Meltem si portò le mani alla bocca, mentre quasi si soffocava con una manciata di mandorle. “Stai dicendo che Zuben è un predone?”
“Non deruba forse la sua gente chiedendo un tributo?”
“Solo per preservarli dall’ira di Beliar!”, obiettò lei.
“Da chi? Da lui stesso e dai suoi maghi oscuri? Non fa nulla per gli schiavi. E nemmeno per gli uccellini chiusi in gabbie dorate.”
Le parole la colpirono come un fulmine. Meltem non sapeva come rispondere, fissando la gabbia e le piume colorate di Jamila dietro alle sbarre dorate.
Selim Baruch però continuò: “No, mia signora, Orbasan sarà forse uno sciacallo, ma a Ishtar c’è un leone. Sono entrambi dei predatori. Se al leone è concesso rubare e uccidere come più gli aggrada, non si può negare un bocconcino allo sciacallo. Davanti all’ingordigia del lione, lo sciacallo è meno di nulla.”
Lei rimase zitta per un po’, rimuginando sulle sue parole. Non passò molto tempo prima che la voce di Selim Baruch interrompesse nuovamente i suoi pensieri.
“Non manca ancora molto, mia signora. Posso vedere in lontananza le palme dell’oasi vicino a Bakaresh che si stagliano in cielo. Lì la carovana si fermerà un po’ e ci procureremo dell’acqua fresca. A sinistra inizia il Ben Hasha, con un sentiero che porta a Ben Sala. Più avanti, oltre l’oasi, c’è Bakaresh. Se non fosse per le montagne, si potrebbe già vedere la torre del trono di Beliar.”
Queste parole erano state in grado di scacciare anche i pensieri sul predone Orbasan. Bakaresh. Questo perché quel nome era legato a un altro: Aschnu. Anche se in quel momento era libera più che mai, sembrava comunque che la sua libertà stava per volgere al termine. Ancora poche ore e la gabbia dorata si sarebbe chiusa intorno a lei, una volta per sempre.
“A quel punto ci separeremo, non è vero, Selim?
“Sì, mia signora, è così.”
“Ti ringrazio per avermi tenuto compagnia durante questo viaggio. Se non fosse stato per te, sarei stata da sola con Jamila.”
“Oh, ti ringrazio anch’io, mia signora. Anche tu hai reso piacevole il mio viaggio con la tua compagnia.”
Esitò un po’ togliendosi il velo dal volto, poi lo chiamò ancora una volta: “Selim?”
“Sì, mia signora?”
Invece di rispondere, infilò nuovamente la mano nella ciotola di lokum. Poi aprì le tende e mise la testa fuori.
Meltem fu costretta a strizzare gli occhi, giacché se dentro la portantina vi erano ombre e buio, fuori erano scacciati dal calore brillante e inarrestabile della maledizione di Innos, alto nel cielo.
Poi i suoi occhi si posarono su Selim Baruch, che marciava di fianco alla portantina, agile e pieno di vita, una mano poggiata sul pomello della sua sciabola, la testa avvolta in una stoffa per proteggersi dal fuoco che bruciava in cielo. La sua pelle era pallida come quella dei myrtaniani, sebbene fosse un po’ abbronzata dal sole. Dal suo orecchio pendeva un orecchino d’oro. Si voltò a guardarla quando aprì le tende. Com’era penetrante il suo sguardo! E quella smorfia sul suo volto si addiceva perfettamente alla sua voce, che lasciava sempre presagire un sorriso ironico. “Ecco”, disse lei portando due dita appuntite al suo volto.
Lui aprì la bocca e le permise di mettere un pezzo di lokum coperto di petali di rosa fra le sue labbra. Sì, preferirei di gran lunga nutrire con il lokum un uomo come lui, piuttosto che quel vecchio grassone di Aschnu con tutte le sue montagne d’oro.
“Ti ringrazio, mia signora. Sei molto gentile”, disse Selim con un sorriso, chinando lievemente il capo.
In quel momento esatto, si levò un grido dal retro della carovana: “PREDONI!”
Prima che potesse rendersi conto di quel che stava succedendo, Selim la prese per il braccio ancora teso e la tirò giù dalla portantina.
La afferrò mentre era ancora disorientata. Tutt’intorno si udivano urla e fischiavano frecce, mentre la portantina si schiantò al suolo dopo esser stata lasciata cadere dagli schiavi. Le spade risuonavano l’una contro l’altra. Poi una voce urlò più forte di tutte le altre, direttamente vicino all’orecchio di Meltem: “BASTA!”
Sentì che veniva strattonata verso l’alto con un braccio intorno al corpo, poi qualcosa di freddo e duro le venne appoggiato sul collo. “Mettete giù le vostre armi, altrimenti la vostra signora morirà!”
Sbattendo gli occhi, vide che i predoni avevano circondato la carovana da ogni lato. Armati pesantemente e con i volti coperti, alcuni indossavano delle protezioni di spesso cuoio nero, altri gli abiti dei nomadi, uno portava perfino l’armatura di un soldato myrtaniano.
Le guardie pagate da suo padre fecero come richiesto, lasciando cadere le armi. Pochi attimi dopo i predoni gli erano addosso, con le armi puntate alle loro gole.
Solo dopo che Selim Baruch ebbe guardato da cima a fondo la carovana per assicurarsi che nessuno oppeneva più resistenza, lasciò andare Meltem. “Tenetela d’occhio!”, ordinò a uno degli uomini, passandogliela con una certa irruenza. Il predone la afferrò prontamente, serrandole la mano intorno al braccio come una morsa.
Selim Baruch e alcuni dei suoi uomini iniziarono a darsi da fare con i buoi del deserto che portavano la sua dote sulla groppa. I predoni sbirciarono nelle ceste e nei bauli, cercando di farsi seguire dai buoi.
Meltem non poteva far altro che osservare, come congelata. Anche se non fosse stata tenuta ferma, probabilmente non sarebbe riuscita a muoversi di un centimetro. Troppo grandi erano lo shock e la paura.
“Guarda che bella ragazza!”, sentì bisbigliare alle sue spalle. “Mmm, non importa quale ricchezze stessero trasportando, questa è la più grande fra tutte, se vuoi la mia opinione”, rispose un altro predone dietro di lei.
Quello che la stava tenendo ferma fece scivolare il suo sguardo avido lungo il suo corpo, accarezzandone le curve con gli occhi mentre si leccava le labbra. “Ma che bell’uccellino, bisogna proprio dirlo.”
Quello che seguì non fece altro che alimentare i suoi timori.
Selim Baruch passò pomposamente dinanzi a una guardia disarmata mentre si dirigeva a ispezionare l’animale successivo. La guardia si liberò dal predone che la teneva per le spalle e si lanciò su Selim. Qualcosa d’argentato gli brillò in mano, forse estratto da una manica.
All’ultimo secondo, la vittima dell’attacco si mosse di lato, afferrando la mano della guardia e infilzandola allo stomaco con il suo stesso pugnale, per poi lasciarla cadere al suolo mentre la sabbia iniziava a tingersi di rosso.
Meltem urlò in preda al terrore.
Incurante, Selim Baruch sgridò il predone che aveva il compito di sorvegliare la guardia: “Vuoi forse uccidermi? Dovevate perquisirli con attenzione, facendo particolare attenzione armi nascoste!”
Il predone sembrava affranto e continuava a scusarsi profusamente, ma Selim lo congedò con un cenno della mano, facendosi largo fra i suoi uomini riuniti con qualche lunga falcata. “Uomini!”, gridò, “oggi abbiamo messo a segno un gran colpo! La dote di Meltem bint Suleyman per il mercante Aschnu è nostra! Forse vi ricorderete il nostro caro amico Aschnu di Bakaresh. Solo tre settimane è stato così gentile da donarci una carovana carica di tappeti e tessuti preziosi.”
I predoni intorno a lui si lasciarono andare a risa e schiamazzi. “Sia lode ad Aschnu!”, gridò uno di loro.
Quando cessarono le urla, Selim continuò: “Guardie, chi fra voi non è così stolto come il vostro compagno, che ha preferito nutrire gli avvoltoi, può fuggire. Non siamo lontani dall’oasi, come forse saprete. Non avrete bisogno di armi o acqua per arrivarci sani e salvi. Schiavi, anche voi potete fuggire. Dove andrete è solo affar vostro, ma vi sconsiglio di dirigervi a Bakaresh. Sta a voi trovare il modo di sopravvivere. Tuttavia, potete prendere ogni genere di rifornimenti e armi dalla carovana, giacché io e i miei uomini siamo interessati solo all’oro e alle pietre preziose!” “Oh…”, aggiunse poi, stavolta con un tono di voce più basso mentre le guardie iniziavano a fuggire e gli schiavi si lanciavano su armi e animali carichi d’acqua, gli occhi fissi su Meltem. La ragazza sussultò quando Selim iniziò a camminare lentamente verso di lei, porgendole la mano.
“Dammi la mano.”
Lei, tremante di paura, ubbidì all’ordine e levò in alto la mano.
Il predone la afferrò con una certa forza e sfilò uno ad uno gli anelli adornati di gemme dalle sue dita, continuando a fissarla incessantemente negli occhi. “Non c’è nulla da temere”, sussurrò, sempre con quel suo sorriso sulle labbra. Passò gli anelli a un altro predone al suo fianco, poi continuò con gli anelli dell’altra mano, tranne uno. “Non prenderò il tuo anello di fidanzamento”, le disse continuando a osservarla. “Nessuno può annullare il tuo fidanzamento tranne te stessa. Tuttavia…” All’inizio lei non capì cosa stesse succedendo, finché lui non le passò la mano del volto, per poi passare al collo. Quando sentì la sua collana di perle e diamanti scivolare dal suo collo alla sua mano, fu allora che comprese le sue intenzioni.
“Tu non ti chiami Selim”, sussurrò guardandolo negli occhi. Quelle parole le erano uscite dalla bocca senza nemmeno pensarci. Si sentì subito incredibilmente stupida a puntualizzare una tale ovvietà in quel modo.
Le labbra dell’uomo di fronte a lei si arricciarono maliziosamente. “Hai ragione, mio bell’uccellino. Mi chiamano il Signore del Deserto. Sono il predone Orbasan.” Dopo una breve occhiata, raddrizzò la schiena e continuò: “Voglio vederti per bene, mia signora.” Ancora una volta, allungò la mano verso la sua faccia. Con un tocco delicato le levò il velo che le aveva nascosto finora il volto. Era la prima volta che Selim, o per meglio dire Orbasan, il predone Orbasan, giacché quella era la sua vera identità, la vedeva in volto.
Rimase in silenzio per un po’, rapito dalla visione, finché il predone che ancora la teneva stretta disse: “Davvero una bella preda, vero Orbasan? Come vorrei essere al posto di Aschnu.”
A quel punto gli occhi del capo dei predoni si serrarono in uno sguardo cattivo, passando da Meltem al predone. “Lasciala andare!”, comandò. “E fai attenzione a quel che dici, altrimenti potresti fare la fine degli eunuchi di Aschnu.”
Il predone la lasciò andare immediatamente come se fosse un pezzo di metallo arroventato. A quel punto anche gli altri predoni fecero un passo indietro.
Fu qualcos’altro però ad attirare l’attenzione di Orbasan. Un cinguettio eccitato, proveniente dalla portantina distrutta dopo esser caduta al suolo. Si avvicinò, infilò le mani fra le tende ed estrasse una gabbia dorata, al cui interno Jamila sbatteva le ali animatamente. L’uccello proveniente dalle Isole Meridionali aveva un aspetto un po’ arruffato, ma la caduta l’aveva spaventato più che ferito.
“Povera creatura”, sussurrò Orbasan. “Ti hanno messo in una gabbia così piccola. Per la gioia degli altri, non certo per la tua. Solo un piacere per gli occhi e per le orecchie, nient’altro. Su su, non temere, uccellino. Questo sciacallo è un predatore diverso, si nutre solo d’oro e pietre preziose, non farebbe mai del male a degli uccellini. Ora, vola via!” Dopo queste ultime parole, aprì la porta della gabbia. Jamila non ebbe bisogno di alcun incoraggiamento e volò verso la ritrovata libertà cantando e cinguettando allegramente. Per un breve tempo si riuscì ancora a scorgere un puntino colorato che saliva sempre più in alto nel cielo per poi dirigersi verso le palme dell’oasi in lontananza, ma presto Meltem non riuscì più a distinguerla nel blu sopra di lei.
“Non temere”, le disse Orbasan tranquillamente mentre si riavvicinava. “Mi assicurerò che non ti venga fatto alcun male. Ti scorterò a Bakaresh di persona. Stanotte sarai sana e salva nel palazzo del tuo promesso sposo.”
Il mio promesso sposo. Durante l’ultima mezz’ora, si era completamente dimenticata del mondo al di fuori della carovana. Ora però si era destata come da un sogno e iniziò a capire il significato delle sue parole. “No!”, gridò. “Non andrò a Bakaresh. Non da Aschnu.”
“Andiamo”, disse lui cercando di afferrarle gentilmente il braccio. “Non ti capiterà nulla lungo la strada. Te lo giuro. Non hai nulla di cui aver paura.”
“Non temo il resto del viaggio, ma la destinazione!”, gridò lei liberandosi dalla sua presa. Era la prima volta che alzava la voce. Tuttavia, continuò dicendo: “Hai lasciato andare il mio uccello, ma io? Vuoi rimettermi in una gabbia?”
“In gabbia si sta al sicuro. Pur imprigionata, se non altro le sbarre sono d’oro massiccio. Inoltre, ti nutrirai di lokum, fichi e melograni. Dovrei forse farti fuggire nel deserto come quegli schiavi? Metà di loro sono nomadi catturati, conoscono il deserto e sanno come tornare dai loro clan. Tu invece sarai divorata dagli sciacalli se ti inoltrerai nel deserto da sola.”
La ragazza esitò per un attimo. Era la sua unica scelta? In gabbia o morta? Un’espressione decisa però si delineò sul suo bel volto. “Conosco uno sciacallo che non divora gli ucellini.”
“È vero, non li divora”, ammise lui, “ma è anche vero che non ha alcun interesse a tenersi un uccello in gabbia”
A quel punto fu lei a sorridere, lasciandosi sopraffare da un’energia sconosciuta: “E io non voglio essere tenuta in una gabbia. Non voglio più essere un uccellino. Voglio diventare uno sciacallo.”
“DESIDERIO DI LIBERTÀ”
L’uccellino e lo sciacallo
“Dimmi, Selim, manca ancora molto per Bakaresh?”
“No, mia signora. Abbiamo già passato le rovine. Abbiamo fatto più di metà del tragitto.”
Meltem sospirò. Mise le sue dita delicate nella ciotola che teneva sulle gambe, portandosi un altro pezzo di lokum alla bocca. Presto quelle dita avrebbero nutrito Aschnu con il lokum.
Ma no, per queste cose ha le sue schiave. Queste dita non farebbero altro che graffiargli il volto, se solo osasse pensare che io lo serva.
Socchiuse gli occhi, anche se fino ad allora non aveva visto altro che le tende della sua portantina, e si focalizzò sulle rocce delicate, sulla tenera canzone di Jamila e sul gusto di rosa che le permeava la bocca.
“Hai tutto ciò che il tuo cuore potrebbe desiderare”, le aveva detto suo padre, “e come moglie di Aschnu avrai anche di più.”
Tuttavia, il suo cuore non desiderava le prelibatezze nelle ciotole che la circondavano.Non desiderava il lokum, i fichi, i datteri, le mandorle tostate o i melograni. Né tantomeno desiderava i gioielli preziosi che le adornavano il collo esile, né gli smeraldi e gli zaffiri incastonati negli orecchini d’oro e d’argento che le pendevano dalle orecchie. Non desiderava nemmeno la seta che avvolgeva e accarezzava la sua tenera pelle.
Se c’era una cosa che desiderava, era la libertà.
Beh, forse anche qualcosa di più. A cosa servivano tutti i gioielli del mondo se, proprio come Jamila, era tenuta in una gabbia dorata, lontana da tutti? Mi vedrà Aschnu. Ma Aschnu era vecchio. Inoltre, era grasso e noioso, interessato solo ai propri affari, o almeno così aveva sentito. Preferirei essere la moglie di Selim. Lui sì che è un bell’uomo, anche se è solo un povero carovaniere.
Anche se Aschnu fosse stato bello come un principe delle fiabe, non avrebbe comunque voluto essere sua moglie, il suo uccellino in una gabbia dorata. Non voleva essere come Jamila, seduta dietro le sbarre, a intrattenere con la sua canzone e il suo piumaggio variopinto.
“Selim?”, chiese, “il resto del viaggio sarà pericoloso?” Avrebbe preferito non raggiungere Bakaresh. Tuttavia, non voleva nemmeno essere divorata dagli scavasabbia.
“Ha i suoi pericoli, mia signora”, rispose il carovaniere facendosi udire fra i drappi della portantina. Tuttavia, sembrava gioviale come sempre, spensierato, forse pure un pochino divertito. Forse era proprio questa gioia di vivere che le aveva fatto preferire Selim Baruch a tutti gli altri uomini che suo padre aveva assoldato per scortarla da Mora Sul a Bakaresh, facendo di lui il suo confidente per tutta la prima metà del viaggio.
“Anche altri sciacalli?” Le rovine ne erano piene. Avevano già incrociato un grosso branco. Meltem aveva sbirciato fra le tende quando gli uomini avevano iniziato a urlare e la sua portantina si era fermata di colpo. I predatori però si erano allontanati velocemente quando gli uomini avevano iniziato a bersagliarli di frecce, non osando attaccare una carovana così numerosa.
“Mmm”, iniziò a dire Selim Baruch, “Mettiamola così… ci sono meno animali selvatici. Tuttavia, attraverseremo il territorio di un altro tipo di sciacalli.”
“Stai parlando dei predoni, vero?” Il cuore di Meltem iniziò a battere un po’ più forte a quel pensiero. “È vero ciò che dicono del Signore del Deserto?”
Da fuori riecheggiò la risata gioiosa di Selim. “Non è forse Zuben il Signore del Deserto?” “Il Califfo è il Signore delle Città. Ho però sentito dire che un altro signore controlla il deserto. Un predone temuto anche dai nomadi.”
“Parli di Orbasan.”
“Allora è vero!”, disse con un filo di voce, afferrando con forza uno dei suoi eleganti cuscini finemente ricamati. Dovette combattere l’impulso di mettere la testa fuori dalle tende.
“Non penso che dobbiate temere il predone Orbasan, mia signora.”
“Viaggi spesso nel deserto, no?”
“Passo più tempo fra le dune che nelle città, mia signora.”
“E non hai mai incontrato Orbasan nei tuoi viaggi?”
Le risate di Selim Baruch arrivarono alle sue orecchie. “No, mia signora, non posso certo dire di averlo fatto, ma molti che conosco lo hanno conosciuto.”
Meltem rimase in silenzio. Infilò di nuovo la mano nella ciotola, più per far qualcosa che per una vera voglia di cibo. A dir la verità, iniziava a detestare quei cibi dolciastri. Se continuo a mangiare così tanto, sarò grassa come un ogre prima di arrivare a Bakaresh. Ah, forse a quel punto Aschnu non mi vorrà nemmeno più. Tuttavia, smise presto di pensare al suo promesso sposo. Non perché non volesse pensare a lui, d’altronde non aveva fatto altro che pensare a lui e al suo futuro per tutto il viaggio, pur controvoglia. Pensieri e sentimenti non conoscono la parola “no”.
Più non vuoi pensare a qualcosa, più non fai altro che pensare proprio a ciò che stai cercando di ignorare con tutte le tue forze. L’unica possibilità per non pensare a qualcosa è che si presenti qualcos’altro a cui pensare, qualcosa che catturi l’attenzione solo e unicamente su di sé. Proprio ciò che aveva fatto il predone Orbasan.
Orbasan.
Un brivido le scese lungo la schiena. Aveva già sentito di tanto in tanto delle storie sul Signore del Deserto, che tendeva delle imboscate con i suoi predoni alle carovane lungo la strada fra Bakaresh e Ben Erai, nel Ben Hasha. Non ci aveva prestato grande attenzione, al tempo. Erano solo delle chiacchiere dei soci in affari di suo padre, sempre intenti a piangere le proprie perdite. Non poteva importargliene di meno allora. Il Ben Hasha era molto, molto lontano da Mora Sul. Ciononostante, non era più a Mora Sul. All’improvviso, il nome di Orbasan aveva un suono differente. Misterioso e pericoloso. E se avrebbe davvero teso un’imboscata alla carovana? Tremò dalla paura.
“Selim?”
“Sì, mia signora?”
In qualche modo, la voce del carovaniere la tranquillizzò. Era strano viaggiare in quella portantina. Certo, era confortevole e la faceva sentire la figlia di un sultano. Allo stesso modo, però, le tende la davano la sensazione di essere tagliata fuori dal mondo, proprio come le mura di cinta del palazzo di suo padre. Era quasi come se fosse tutta sola, con l’unica compagnia di Jamila. Il mondo dietro le tende era così distante e inimmaginabile, proprio come il regno dei defunti. Udire la voce di Selim Baruch la rassicurava di non essere da sola, che c’era qualcosa al di fuori e che tutto era a posto. Anche così, la paura non era comunque sparita, tanto che la portò a chiedere: “Cosa ti fa essere così certo che Orbasan non ci tenderà un’imboscata? Sai bene quali ricchezze questa carovana stia trasportando. Se conoscessero la richezza della mia dote, ci attaccherebbero di sicuro. Perciò, come mai sei così sicuro che non succederà?”
“Non sono sicuro.”
“Ma hai detto che non ho nulla da temere.”
“Di quello sì, ne sono sicuro.”
Come faceva la sua voce ad essere così calma, perfino felice! “Ma non ci uccideranno tutti?”
La risata di Selim risuonò ancora una volta. “Perdonami mia signora, prima non avrei dovuto chiamare i predoni sciacalli. Questi sciacalli sono diversi dagli altri. Non si nutrono di carne umana, ma solo d’oro. Se non si oppone resistenza, di certo non uccideranno nessuno.”
“Ma…”, disse Meltem mordendosi le labbra, prima di continuare, “Possono farci comunque del male. Ci sono altre cose che dei predoni possono fare alle loro vittime. Specialmente a una donna…”
Per la prima volta il tono di voce di Selim Baruch si fece serio: “Ho sentito storie su Orbesan e le donne. Ce ne sono diverse, non lo nego. Tuttavia, non ho mai sentito che nel suo letto ci fosse una sua schiava o prigioniera, diversamente da quanto succede nell’harem di Zuben.”
La mente di Meltem era troppo concentrata sul Signore del Deserto per tener davvero conto dell’affronto all’altro Signore del Deserto, per quanto grave fosse.
“Ma ho sentito delle storie su questo Orbasan…”
“Storie su come abbia fatto del male a una donna?”
“No, niente del genere, ma…” Meltem cercò fra i ricordi ogni frammento di conversazione che aveva origliato. “Ho sentito che ha teso un’imboscata a una grande carovana di schiavi qualche mese fa, liberandoli tutti nel deserto. Ha mandato sul lastrico il mercante! Ha perfino dovuto vendersi come schiavo per ripagare i suoi molti debiti.”
“Orbasan non sembra così crudele nei confronti degli schiavi, se riesci a ricordare solo storie del genere, mia signora.”
“Ma il mercante!”
“Avrebbe dovuto imparare un mestiere onesto invece di fare lo schiavista, così avrebbe evitato di fare quella fine.”
“Pare che Orbasan abbia anche fatto a pezzi cinque Hashishin vicino a Lago”, ricordò lei.
Selim Baruch però rispose: “Questo tipo di storie finiscono con l’essere ingigantite mano a mano che vengono raccontate. Io avevo sentito che ne avesse uccisi solo due, limitandosi a prendere oro e armi agli altri tre prima di lasciarli andare.”
“Perciò ha comunque ucciso due Hashishin!”, esclamò Meltem.
“Certo, gli stavano dando la caccia.”
“Perché è un predone!”
“È qualcosa che ha in comune con il legittimo Signore del Deserto, quindi.”
Meltem si portò le mani alla bocca, mentre quasi si soffocava con una manciata di mandorle. “Stai dicendo che Zuben è un predone?”
“Non deruba forse la sua gente chiedendo un tributo?”
“Solo per preservarli dall’ira di Beliar!”, obiettò lei.
“Da chi? Da lui stesso e dai suoi maghi oscuri? Non fa nulla per gli schiavi. E nemmeno per gli uccellini chiusi in gabbie dorate.”
Le parole la colpirono come un fulmine. Meltem non sapeva come rispondere, fissando la gabbia e le piume colorate di Jamila dietro alle sbarre dorate.
Selim Baruch però continuò: “No, mia signora, Orbasan sarà forse uno sciacallo, ma a Ishtar c’è un leone. Sono entrambi dei predatori. Se al leone è concesso rubare e uccidere come più gli aggrada, non si può negare un bocconcino allo sciacallo. Davanti all’ingordigia del lione, lo sciacallo è meno di nulla.”
Lei rimase zitta per un po’, rimuginando sulle sue parole. Non passò molto tempo prima che la voce di Selim Baruch interrompesse nuovamente i suoi pensieri.
“Non manca ancora molto, mia signora. Posso vedere in lontananza le palme dell’oasi vicino a Bakaresh che si stagliano in cielo. Lì la carovana si fermerà un po’ e ci procureremo dell’acqua fresca. A sinistra inizia il Ben Hasha, con un sentiero che porta a Ben Sala. Più avanti, oltre l’oasi, c’è Bakaresh. Se non fosse per le montagne, si potrebbe già vedere la torre del trono di Beliar.”
Queste parole erano state in grado di scacciare anche i pensieri sul predone Orbasan. Bakaresh. Questo perché quel nome era legato a un altro: Aschnu. Anche se in quel momento era libera più che mai, sembrava comunque che la sua libertà stava per volgere al termine. Ancora poche ore e la gabbia dorata si sarebbe chiusa intorno a lei, una volta per sempre.
“A quel punto ci separeremo, non è vero, Selim?
“Sì, mia signora, è così.”
“Ti ringrazio per avermi tenuto compagnia durante questo viaggio. Se non fosse stato per te, sarei stata da sola con Jamila.”
“Oh, ti ringrazio anch’io, mia signora. Anche tu hai reso piacevole il mio viaggio con la tua compagnia.”
Esitò un po’ togliendosi il velo dal volto, poi lo chiamò ancora una volta: “Selim?”
“Sì, mia signora?”
Invece di rispondere, infilò nuovamente la mano nella ciotola di lokum. Poi aprì le tende e mise la testa fuori.
Meltem fu costretta a strizzare gli occhi, giacché se dentro la portantina vi erano ombre e buio, fuori erano scacciati dal calore brillante e inarrestabile della maledizione di Innos, alto nel cielo.
Poi i suoi occhi si posarono su Selim Baruch, che marciava di fianco alla portantina, agile e pieno di vita, una mano poggiata sul pomello della sua sciabola, la testa avvolta in una stoffa per proteggersi dal fuoco che bruciava in cielo. La sua pelle era pallida come quella dei myrtaniani, sebbene fosse un po’ abbronzata dal sole. Dal suo orecchio pendeva un orecchino d’oro. Si voltò a guardarla quando aprì le tende. Com’era penetrante il suo sguardo! E quella smorfia sul suo volto si addiceva perfettamente alla sua voce, che lasciava sempre presagire un sorriso ironico. “Ecco”, disse lei portando due dita appuntite al suo volto.
Lui aprì la bocca e le permise di mettere un pezzo di lokum coperto di petali di rosa fra le sue labbra. Sì, preferirei di gran lunga nutrire con il lokum un uomo come lui, piuttosto che quel vecchio grassone di Aschnu con tutte le sue montagne d’oro.
“Ti ringrazio, mia signora. Sei molto gentile”, disse Selim con un sorriso, chinando lievemente il capo.
In quel momento esatto, si levò un grido dal retro della carovana: “PREDONI!”
Prima che potesse rendersi conto di quel che stava succedendo, Selim la prese per il braccio ancora teso e la tirò giù dalla portantina.
La afferrò mentre era ancora disorientata. Tutt’intorno si udivano urla e fischiavano frecce, mentre la portantina si schiantò al suolo dopo esser stata lasciata cadere dagli schiavi. Le spade risuonavano l’una contro l’altra. Poi una voce urlò più forte di tutte le altre, direttamente vicino all’orecchio di Meltem: “BASTA!”
Sentì che veniva strattonata verso l’alto con un braccio intorno al corpo, poi qualcosa di freddo e duro le venne appoggiato sul collo. “Mettete giù le vostre armi, altrimenti la vostra signora morirà!”
Sbattendo gli occhi, vide che i predoni avevano circondato la carovana da ogni lato. Armati pesantemente e con i volti coperti, alcuni indossavano delle protezioni di spesso cuoio nero, altri gli abiti dei nomadi, uno portava perfino l’armatura di un soldato myrtaniano.
Le guardie pagate da suo padre fecero come richiesto, lasciando cadere le armi. Pochi attimi dopo i predoni gli erano addosso, con le armi puntate alle loro gole.
Solo dopo che Selim Baruch ebbe guardato da cima a fondo la carovana per assicurarsi che nessuno oppeneva più resistenza, lasciò andare Meltem. “Tenetela d’occhio!”, ordinò a uno degli uomini, passandogliela con una certa irruenza. Il predone la afferrò prontamente, serrandole la mano intorno al braccio come una morsa.
Selim Baruch e alcuni dei suoi uomini iniziarono a darsi da fare con i buoi del deserto che portavano la sua dote sulla groppa. I predoni sbirciarono nelle ceste e nei bauli, cercando di farsi seguire dai buoi.
Meltem non poteva far altro che osservare, come congelata. Anche se non fosse stata tenuta ferma, probabilmente non sarebbe riuscita a muoversi di un centimetro. Troppo grandi erano lo shock e la paura.
“Guarda che bella ragazza!”, sentì bisbigliare alle sue spalle. “Mmm, non importa quale ricchezze stessero trasportando, questa è la più grande fra tutte, se vuoi la mia opinione”, rispose un altro predone dietro di lei.
Quello che la stava tenendo ferma fece scivolare il suo sguardo avido lungo il suo corpo, accarezzandone le curve con gli occhi mentre si leccava le labbra. “Ma che bell’uccellino, bisogna proprio dirlo.”
Quello che seguì non fece altro che alimentare i suoi timori.
Selim Baruch passò pomposamente dinanzi a una guardia disarmata mentre si dirigeva a ispezionare l’animale successivo. La guardia si liberò dal predone che la teneva per le spalle e si lanciò su Selim. Qualcosa d’argentato gli brillò in mano, forse estratto da una manica.
All’ultimo secondo, la vittima dell’attacco si mosse di lato, afferrando la mano della guardia e infilzandola allo stomaco con il suo stesso pugnale, per poi lasciarla cadere al suolo mentre la sabbia iniziava a tingersi di rosso.
Meltem urlò in preda al terrore.
Incurante, Selim Baruch sgridò il predone che aveva il compito di sorvegliare la guardia: “Vuoi forse uccidermi? Dovevate perquisirli con attenzione, facendo particolare attenzione armi nascoste!”
Il predone sembrava affranto e continuava a scusarsi profusamente, ma Selim lo congedò con un cenno della mano, facendosi largo fra i suoi uomini riuniti con qualche lunga falcata. “Uomini!”, gridò, “oggi abbiamo messo a segno un gran colpo! La dote di Meltem bint Suleyman per il mercante Aschnu è nostra! Forse vi ricorderete il nostro caro amico Aschnu di Bakaresh. Solo tre settimane è stato così gentile da donarci una carovana carica di tappeti e tessuti preziosi.”
I predoni intorno a lui si lasciarono andare a risa e schiamazzi. “Sia lode ad Aschnu!”, gridò uno di loro.
Quando cessarono le urla, Selim continuò: “Guardie, chi fra voi non è così stolto come il vostro compagno, che ha preferito nutrire gli avvoltoi, può fuggire. Non siamo lontani dall’oasi, come forse saprete. Non avrete bisogno di armi o acqua per arrivarci sani e salvi. Schiavi, anche voi potete fuggire. Dove andrete è solo affar vostro, ma vi sconsiglio di dirigervi a Bakaresh. Sta a voi trovare il modo di sopravvivere. Tuttavia, potete prendere ogni genere di rifornimenti e armi dalla carovana, giacché io e i miei uomini siamo interessati solo all’oro e alle pietre preziose!” “Oh…”, aggiunse poi, stavolta con un tono di voce più basso mentre le guardie iniziavano a fuggire e gli schiavi si lanciavano su armi e animali carichi d’acqua, gli occhi fissi su Meltem. La ragazza sussultò quando Selim iniziò a camminare lentamente verso di lei, porgendole la mano.
“Dammi la mano.”
Lei, tremante di paura, ubbidì all’ordine e levò in alto la mano.
Il predone la afferrò con una certa forza e sfilò uno ad uno gli anelli adornati di gemme dalle sue dita, continuando a fissarla incessantemente negli occhi. “Non c’è nulla da temere”, sussurrò, sempre con quel suo sorriso sulle labbra. Passò gli anelli a un altro predone al suo fianco, poi continuò con gli anelli dell’altra mano, tranne uno. “Non prenderò il tuo anello di fidanzamento”, le disse continuando a osservarla. “Nessuno può annullare il tuo fidanzamento tranne te stessa. Tuttavia…” All’inizio lei non capì cosa stesse succedendo, finché lui non le passò la mano del volto, per poi passare al collo. Quando sentì la sua collana di perle e diamanti scivolare dal suo collo alla sua mano, fu allora che comprese le sue intenzioni.
“Tu non ti chiami Selim”, sussurrò guardandolo negli occhi. Quelle parole le erano uscite dalla bocca senza nemmeno pensarci. Si sentì subito incredibilmente stupida a puntualizzare una tale ovvietà in quel modo.
Le labbra dell’uomo di fronte a lei si arricciarono maliziosamente. “Hai ragione, mio bell’uccellino. Mi chiamano il Signore del Deserto. Sono il predone Orbasan.” Dopo una breve occhiata, raddrizzò la schiena e continuò: “Voglio vederti per bene, mia signora.” Ancora una volta, allungò la mano verso la sua faccia. Con un tocco delicato le levò il velo che le aveva nascosto finora il volto. Era la prima volta che Selim, o per meglio dire Orbasan, il predone Orbasan, giacché quella era la sua vera identità, la vedeva in volto.
Rimase in silenzio per un po’, rapito dalla visione, finché il predone che ancora la teneva stretta disse: “Davvero una bella preda, vero Orbasan? Come vorrei essere al posto di Aschnu.”
A quel punto gli occhi del capo dei predoni si serrarono in uno sguardo cattivo, passando da Meltem al predone. “Lasciala andare!”, comandò. “E fai attenzione a quel che dici, altrimenti potresti fare la fine degli eunuchi di Aschnu.”
Il predone la lasciò andare immediatamente come se fosse un pezzo di metallo arroventato. A quel punto anche gli altri predoni fecero un passo indietro.
Fu qualcos’altro però ad attirare l’attenzione di Orbasan. Un cinguettio eccitato, proveniente dalla portantina distrutta dopo esser caduta al suolo. Si avvicinò, infilò le mani fra le tende ed estrasse una gabbia dorata, al cui interno Jamila sbatteva le ali animatamente. L’uccello proveniente dalle Isole Meridionali aveva un aspetto un po’ arruffato, ma la caduta l’aveva spaventato più che ferito.
“Povera creatura”, sussurrò Orbasan. “Ti hanno messo in una gabbia così piccola. Per la gioia degli altri, non certo per la tua. Solo un piacere per gli occhi e per le orecchie, nient’altro. Su su, non temere, uccellino. Questo sciacallo è un predatore diverso, si nutre solo d’oro e pietre preziose, non farebbe mai del male a degli uccellini. Ora, vola via!” Dopo queste ultime parole, aprì la porta della gabbia. Jamila non ebbe bisogno di alcun incoraggiamento e volò verso la ritrovata libertà cantando e cinguettando allegramente. Per un breve tempo si riuscì ancora a scorgere un puntino colorato che saliva sempre più in alto nel cielo per poi dirigersi verso le palme dell’oasi in lontananza, ma presto Meltem non riuscì più a distinguerla nel blu sopra di lei.
“Non temere”, le disse Orbasan tranquillamente mentre si riavvicinava. “Mi assicurerò che non ti venga fatto alcun male. Ti scorterò a Bakaresh di persona. Stanotte sarai sana e salva nel palazzo del tuo promesso sposo.”
Il mio promesso sposo. Durante l’ultima mezz’ora, si era completamente dimenticata del mondo al di fuori della carovana. Ora però si era destata come da un sogno e iniziò a capire il significato delle sue parole. “No!”, gridò. “Non andrò a Bakaresh. Non da Aschnu.”
“Andiamo”, disse lui cercando di afferrarle gentilmente il braccio. “Non ti capiterà nulla lungo la strada. Te lo giuro. Non hai nulla di cui aver paura.”
“Non temo il resto del viaggio, ma la destinazione!”, gridò lei liberandosi dalla sua presa. Era la prima volta che alzava la voce. Tuttavia, continuò dicendo: “Hai lasciato andare il mio uccello, ma io? Vuoi rimettermi in una gabbia?”
“In gabbia si sta al sicuro. Pur imprigionata, se non altro le sbarre sono d’oro massiccio. Inoltre, ti nutrirai di lokum, fichi e melograni. Dovrei forse farti fuggire nel deserto come quegli schiavi? Metà di loro sono nomadi catturati, conoscono il deserto e sanno come tornare dai loro clan. Tu invece sarai divorata dagli sciacalli se ti inoltrerai nel deserto da sola.”
La ragazza esitò per un attimo. Era la sua unica scelta? In gabbia o morta? Un’espressione decisa però si delineò sul suo bel volto. “Conosco uno sciacallo che non divora gli ucellini.”
“È vero, non li divora”, ammise lui, “ma è anche vero che non ha alcun interesse a tenersi un uccello in gabbia”
A quel punto fu lei a sorridere, lasciandosi sopraffare da un’energia sconosciuta: “E io non voglio essere tenuta in una gabbia. Non voglio più essere un uccellino. Voglio diventare uno sciacallo.”
Traduzione italiana a cura di Enrico “-Henry-” Blasoni.
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aaaa
ma queste storie, a cosa servono? non mi pare siano legate a qualche missione (tipo riportare la ballerina a ben sala) o cose del genere, quinidi? Sono carine a leggere, si, ma stringi stringi, a cosa servono?