Dopo il racconto breve di ieri, anche oggi il calendario ci propone una storia ambientata sempre nel “nuovo” porto di Vengard, ma in un periodo precedente della storia.
“GIÙ AL PORTO, SI SA CHE…”
di HerrFenrisWolf
Una folata di vento salmastro investì Trabas e lo svegliò dal suo sonno che sapeva di birra. Le sue membra sembravano di piombo, come se fossero imprigionate nei suoi vestiti freddi ed umidi. In un momento l’ebbrezza della notte passata scomparve e venne rimpiazzata dai postumi del giorno dopo. Aprendo gli occhi trovò ad attenderlo la luce accecante del sole. Ogni giorno che passava, la sua capacità di riprendersi dalle sbornie peggiorava, ma anche quella mattina Trabas si rimise in piedi, si guardò intorno, ondeggiò un po’ e poi seguì il suo istinto di vomitare giù nel mare oltre il parapetto della torre del porto. Quando ebbe finito si pulì la bocca con la manica, si aggiustò il vestito e ringrazio gli dei del fatto che i suoi abiti non si erano sporcati né di escrementi di gabbiano né di altro.
Ai suoi piedi si trovava ancora il calice d’oro, riccamente decorato, con cui ieri avevano lanciato un brindisi dopo l’altro in direzione del palazzo reale. Trabas raccolse da terra il calice, fin troppo prezioso per quella semplice torre di guardia. Ma è così che vanno le cose al porto. A volte alcune merci trasportate sparivano appena arrivate al molo, altre volte dei beni preziosi venivano rifilati alle milizie per assicurarsi silenzio o favori. In ogni caso il calice prezioso ora veniva riempito di acqua fresca, nella speranza che questa schiarisse i pensieri di Trabas.
Scendendo come un marinaio ubriaco verso il basso, Trabas entrò nella guardiola caratterizzata da un’aria stantia, carica di sudore, peti e vecchia paglia ammuffita. Per poco non stava vomitando di nuovo.
“Tutto bene qui sotto coperta?” salutò scherzosamente.
I miliziani che sedevano lì avevano un aspetto ugualmente malmesso. Nonostante le uniformi, l’equipaggiamento e le armi, i segni della notte passata rimanevano evidenti per chiunque li avesse visti. Non avrebbero mai superato l’ispezione ridotti così. Qualsiasi ufficiale appena degno del proprio titolo li avrebbe fatti correre intorno al porto fino a fargli uscire la schiuma dal culo. Ringraziando gli dei, gli ufficiali erano impegnati con ben altre faccende.
“Niente di particolare”, borbottò il più anziano in servizio. Era un po’ più giovane di Trabas e stava studiando un pezzo di carta stropicciato.
“Il rapporto dell’altra notte?” domandò il vecchio guerriero appoggiando pesantemente il calice sul tavolo.
“Tutte le navi che dovevamo controllare sono ancora lì e non è sparito nulla di quello che non doveva sparire. Un’altra notte di duro lavoro e di dedizione nel nome del Re e della Patria.”
“Hip, hip, urrà!” gracchiò qualcuno a mezza bocca, emettendo subito dopo un rumoroso peto.
“C’è scritto qualcosa che un semplice cittadino della città dovrebbe sapere?” chiese Trabas.
L’altro sfogliò tra le carte: “Niente di particolare, tutto regolare. Le solite risse in taverna tra nuovi arrivati. Soldati del re contro mercenari delle province.”
Trabas annuì. Vengard è sempre stata il punto di raduno per le truppe del re, ma oggi la città sembrava quasi esplodere. Ogni nobile degno di questo nome spostava qui le sue truppe, mercenari di ogni angolo del regno si radunavano qui, anche le gilde dei mercanti cercavano soldati nelle province. Si diceva che chiunque avesse contribuito al trionfo del regno avrebbe ottenuto titoli, terre e privilegi. A tutto ciò si aggiungevano le truppe stabili della corona. Tutte riunite qui a Vengard, prima di spostarsi al fronte. Si spiegava così lo scarso interesse per le guardie portuali della milizia, troppo impegnata a tenere sotto controllo il più grande esercito mai visto dai tempi del Varant.
“Beh tutto come sempre, allora torno a casa.” Trabas si voltò per andare.
“Un momento, vecchietto”, lo fermò il responsabile. “Davanti alla capitaneria del porto c’è del movimento. Vai a vedere cosa succede.”
“Per la barba di Innos, lo sapete benissimo che oggi è il mio giorno libero. Mia moglie non mi vede da ieri mattina, ho già abbastanza guai, non voglio cercarne di nuovi.”
Ma l’altro rimase impassibile: “Consideralo il tuo pagamento per l’alcool che ci siamo scolati ieri. Se non è nulla, meglio così. Ma se sta succedendo qualcosa, forse è meglio non arrivare lì conciati in questo modo. Dacci il tempo di darci una sistemata, vecchio”.
Trabas annuì e uscì dalla torre. Certamente assomigliava alle altre torri del porto, che fungevano sia da torri di segnalazione sia da protezione per i velieri dell’impero. Il vecchio guerriero si ritrovò immerso nell’aria salmastra e nella variopinta confusione del porto: chiunque passasse in città, per mare o per terra, prima o poi attraversava il porto. C’erano marinai, prostitute, saltimbanco, mercanti e soldati, ad ogni angolo della strada c’era qualcuno che urlava, che protestava o che parlava…
“…la gloriosa armata di Myrtana si è ritirata in modo da vanificare l’offensiva sempre più debole degli Orchi nel Nordmar”, annunciava un araldo.
“Veri figli del deserto, è tempo di tornare in seno a vostro padre. L’ora della nostra rinascita è prossima” sussurrava un tizio incappucciato del Varant dietro ad una pesante cassa proveniente da Bakaresh. Continuerà a urlare anche tra qualche ora, quando la milizia lo verrà a prendere, pensò Trabas.
Gli tornò in mente un vecchio detto: “Giù al porto sanno perché il re si gratta il culo.” Era proprio vero, visto che ogni piccola verità, per quanto vaga e poco definita, trovava la sua strada verso il porto, dove si copriva nel mantello di una diceria.
Guardie in armatura dorata tenevano d’occhio i prigionieri che venivano portati nelle colonie penali. Il rumore di pesanti placche metalliche attirò l’attenzione di Trabas verso una nave ormeggiata nel punto più centrale del molo. Davanti alla nave si trovava una pattuglia della guardia d’onore reale. La loro presenza indicava che qui si scaricava il carico di minerale magico da Khorinis, come sapeva ogni intimo conoscitore del porto. La guardia d’onore rappresentava il volere incorruttibile e ferreo del re. Al contrario dell’Ordine dei guerrieri di Innos, la guardia d’onore aveva davvero solo un padrone. Nessun ladro sano di mente avrebbe sognato di impossessarsi di qualcosa che provenisse da quella nave.
Trabas era ormai vicino alla capitaneria e scorse una folla furiosa aspettare davanti all’ufficio. Con sua somma sorpresa, sembrava che la causa fossero delle guardie d’onore, poiché bloccavano l’accesso all’ufficio.
“Non vi lasciano entrare?”
“La mia nave doveva essere già caricata da più di un’ora. Trasportiamo zolfo da Geldern e dobbiamo raggiungere Bakaresh. Ogni minuto che passo qui, il carico perde valore.” Trabas, che aveva vissuto in mare a lungo e che aveva caricato numerose navi, non sapeva di cosa stesse parlando, ma capiva perfettamente che quell’uomo stava perdendo un sacco di soldi.
Dalle scale della capitaneria uno degli scrivani lo riconobbe e gli urlò: “Ehi Trabas, arrivi proprio al momento giusto. Vedi di entrare, il capitano di porto ha bisogno di te.”
Dopo un cenno alle guardie, Trabas fu fatto entrare nello stanzino del suo capo e suocero. Si trovava sulla sediola solitamente riservata a chi andava a supplicare dinanzi alla scrivania del capitano. Questi gli sedeva di fronte, con alla destra l’ufficiale della guardia d’onore Cobryn, che si arricciava i baffi: “È affidabile?”
“Il mio uomo più affidabile e, per di più, anche membro della mia famiglia. È il marito di mia sorella.”
L’ufficiale sospirò, facendo capire a tutti quando fosse evidente l’odore di alcol che Trabas emanava ancora.
“Beh, allora…” disse il capitano di porto sprofondando nella sedia. “Oggi è il suo giorno libero e ciò nonostante è qui. Se non è dedizione questa…”
Cobryn fece un cenno con la mano. “Lasciamo perdere. Ti credo. Ti chiami Trabas? Guarda qui!” esclamò mettendo un pesante fascicolo con un sigillo di ceralacca sul tavolo. “Conosci questo sigillo?”
Il soldato guardò il fascicolo, evidentemente rilegato molto male e composto da carta molto rovinata. Il sigillo di cera rossa aveva un aspetto grezzo. Non c’era uno stemma riconoscibile, ma solo una scritta circolare: “Barone delle Miniere Gomez”.
“Mai sentito parlare di questo Barone, mio signore” affermò Trabas, al che Cobryn annuì.
“E spero che rimanga così, visto che non esiste nessun Barone Gomez. Questo genere di cose alimenta solo i pettegolezzi, e la gente finisce per vedere del fumo quando non c’è nemmeno un incendio. Specialmente in tempo di guerra, l’impero non ha bisogno di cose come queste. Questa è una sciocchezza arrivata con la nave proveniente da Khorinis. Il magistrato locale avrebbe il compito di prevenire che capitino faccende del genere, ma evidentemente nelle province la gente non è così dedita al proprio lavoro. Del resto, la corona ed il trono sono così lontani. Da oggi in poi voi della capitaneria di porto sarete responsabili di verificare il carico in arrivo e rimuovere stupidaggini del genere su ogni singola cassa di minerale in arrivo da Khorinis.”
A Trabas venne un mancamento al pensiero di dover ispezionare ogni singola cassa di minerale della nave. “Ma…” accennò.
“Niente ma” tagliò corto la guardia. “Nessuno di questi falsi sigilli lascerà il porto, altrimenti farò in modo di spedirvi personalmente a Khorinis per verificarne la fonte.” Con questo il discorso era chiuso.
Trabas era di nuovo al molo, mentre cercava di prepararsi al lavoro che lo attendeva. Guardava in direzione della nave senza riuscire a trovare il coraggio di iniziare l’opera. Gli si avvicinò uno dei miliziani della torre. “Mi chiedevo che fine avessi fatto. Quindi, nessuna rivolta al porto?” chiese.
“No, solo delle seccature.”
“Merda di uno squartatore!”, imprecò il miliziano, porgendogli una bottiglia appena aperta di liquore.
“Perché no?” pensò, bevendo un lungo sorso e chiedendo poi al suo amico: “Hai sentito niente da Khorinis ultimamente?”
Questo sorrise: “È lì che hanno esiliato il generale, giusto? Dicono che sia sfuggito al re e che si sia unito a pirati e demoni per tornare e vendicarsi un giorno.”
““Ah, ma non mi dire” ridacchiò Trabas. “Hai mai sentito parlare di un Barone delle Miniere di nome Gomez?”
Traduzione italiana a cura di Lorenz ‘Lck’ Klopfenstein e di Enrico -Henry- Blasoni.
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