Veli di fumo si diffondevano nell’aria disordinatamente. Una nebbia fitta e umida trasudava dalla terra e non lasciava spazio al fumo.
Un uomo tossì.
“Dannata!” imprecò un tizio.
“Cosa, la zuppa di Rachel?” replicò un altro.
“No, spiritoso, la nebbia,” rispose scontroso il primo.
“Dannata palude!” rispose il secondo.
“Dannato Inquisitore!” disse un terzo, rimasto in silenzio fino a quel momento, indicando la fonte di tutti i mali.
Da quando l’Inquisitore aveva messo piede sull’isola con la sua gente, il Don aveva lasciato la città per rifugiarsi nella palude. Lì poteva ancora essere l’unico padrone di se stesso e non doveva prendere ordini dai nuovi signori dell’isola. Lì, era il capo della sua gente, il signore di pochi acri di terreno paludoso e di un antico tempio in rovina, pieno di mostri. Sarebbe rimasto in quella sistemazione finché l’Inquisitore non avesse lasciato la città. Fino a quel momento, il Don avrebbe alloggiato nella prima sala del tempio.
“È uscito qualcosa dal tempio oggi?” chiese uno degli uomini.
“Una creatura? No. I passaggi anteriori sono sgombri. Fincher li ha controllati ancora ieri.”
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